16 aprile 2019Temi: Cittadinanza, , Ecco i “Non luoghi” di Reggio visti dai ragazzi, una mostra firmata LILT e Refoto

Insicurezza, spaesamento, paura. Ma anche tranquillità, incontri, relazioni, solidarietà. Sono alcune delle sensazioni che gli studenti dell’Istituto Galvani Iodi hanno catturato con i loro scatti in punti precisi della città, nell’ambito del progetto realizzato per Fotografia Europea “Nonluoghi. I ragazzi li abitano?”, in collaborazione con associazione Refoto e la Lega italiana per la lotta ai tumori Lilt di Reggio Luoghi di Prevenzione.

«La qualità degli ambienti costruiti influenza lo stato psicofisico di chi li vive», spiega Ermanno Rondini, oncologo e presidente di Lilt Reggio Emilia. «Noi aiutiamo le persone a cercare la salute attraverso scelte quotidiane e stili di vita corretti. L’edizione 2019 di Fotografia europea, “LEGAMI. Intimità, relazioni, nuovi mondi”, era il perfetto incubatore per declinare questi concetti, poiché siamo convinti che la qualità umana vada cercata nelle relazioni e nell’ambiente. La ricerca di cambiamento “dal basso” di questi ragazzi si colloca nell’ambito del più ampio grido d’allarme lanciato dai giovani riguardo al futuro del pianeta».

Inaugurata sabato in via Secchi 11, la mostra “Nonluoghi”, che rimarrà allestita fino al 2 giugno, consiste in una serie di fotografie scattate dagli studenti tra il centro di Reggio, piazza Marconi/piazzale Europa, la biblioteca Panizzi, via San Giuseppe e vicoli adiacenti, i giardini pubblici e l’autostazione ex Caserma Zucchi.

«Come in una quinta – precisa Alberto Cucchi, curatore della mostra e presidente di Refoto – i nostri autori hanno realizzato anche 24 immagini per ciascun luogo individuato, una all’ora per 24 ore. Lo scopo era proporre una riflessione sul significato dei luoghi della nostra società, dove gli eventi possono casualmente accadere o non accadere».

«Se un luogo come la stazione comunica insicurezza, con un po’ di luce può trasformarsi e trasmettere anche belle sensazioni. Ecco il nostro obiettivo: cercare di trasformare elementi di malessere in elementi di benessere. Questo possiamo farlo noi e le persone che lavorano con noi con cui siamo in relazione», conclude Sandra Bosi, direttore scientifico di Luoghi di Prevenzione.

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