La gran parte delle 200 strutture operanti in Italia restano operative, spesso riconvertendo il servizio con la consegna a domicilio dei beni alle persone più fragili. E c’è chi apre anche a chi non aveva la tessera, ma si è trovato all’improvviso senza sostegno. Ecco il servizio di Stefano Trasatti per CSV.net.
Qualcuno ha dovuto chiudere, ma la maggior parte continua a operare, anche se in modo diverso: con flessibilità e una dose non piccola di fantasia. Se gli empori solidali erano già una risposta innovativa al disagio economico – dando a migliaia di famiglie la possibilità di fare la spesa gratis con un sistema di tessere a punti – in tempi di Coronavirus confermano la loro capacità di adattarsi rapidamente ai bisogni del territorio, e perfino di ampliare le proprie funzioni.
“Nei primi giorni dell’emergenza, da noi sono rimasti tutti attivi, ovviamente rispettando le norme di sicurezza, – dice Angela Artusi del coordinamento dei 23 empori dell’Emilia-Romagna (quasi tutti gestiti o co-promossi dai Csv); – oggi sono aperti più della metà: hanno chiuso soprattutto quelli che avevano una prevalenza di volontari anziani e che, dopo avergli chiesto di rimanere a casa, non potevano più garantire personale sufficiente”.
Tutti gli altri adottano diverse tipologie di servizio, generalmente limitando il numero di giorni di apertura. Alcuni si limitano a obbligare un accesso contingentato, sul modello dei normali market alimentari; in altri casi i volontari raccolgono invece l’ordine all’ingresso, prendono i prodotti sugli scaffali e li portano ai beneficiari che aspettano fuori. Ma la maggior parte si è organizzata per la consegna dei beni a domicilio, dando priorità agli individui e alle famiglie più fragili o non automunite: anche qui si compila al telefono la lista della spesa e poi la si porta a casa, spesso in collaborazione con associazioni partner dell’emporio o altre già coinvolte in questo servizio (pubbliche assistenze, Croce rossa ecc.).
Sono invece riusciti a rimanere tutti operativi i 9 empori della provincia di Verona, anche dopo aver chiesto ai volontari più anziani di restare a casa. Nelle sedi restano chiuse le stanze riservate all’accoglienza o agli altri servizi di consulenza, mentre agli scaffali si entra uno alla volta. Il grosso delle energie viene però speso, anche qui, nella consegna a domicilio, in generale una volta ogni 15 giorni: in alcuni casi questa modalità si affianca all’emporio aperto, in altri è praticata in esclusiva, con la collaborazione di associazioni o della protezione civile.
Ma l’emergenza Coronavirus sta generando profondi cambiamenti in questa tipologia di risposta alla povertà. “Abbiamo iniziato a rispondere anche alle esigenze di spesa di persone che non hanno la tessera e che hanno cominciato da poco ad avere seri problemi, – spiega Barbara Simoncelli della Caritas Diocesana Veronese, che coordina fin dall’inizio il progetto ‘Emporio della solidarietà’ promosso nel 2009 da una rete di enti caritativi locali. – Ce li segnalano i servizi sociali dei comuni e noi interveniamo. Sono famiglie rimaste senza stipendio, giostrai, circensi e altri soggetti bloccati qui senza sostentamento; e lavoratori nelle strutture attorno al lago di Garda che non hanno potuto nemmeno iniziare la stagione turistica”.
Il mantenimento della rete dei centri di ascolto sul territorio, anche se solo via telefono, permette poi di continuare a tenere d’occhio le forme di disagio emergenti: “Prevediamo che uno dei grandi problemi dei prossimi giorni sarà la solitudine, – mette in guardia Simoncelli: – In questi primi giorni di assestamento non si avverte pienamente, ma alla lunga per molti soggetti potrebbe diventare insostenibile stare da soli tutto il giorno”.
Per questo, spiega, “continuiamo a mantenere il contatto in ogni forma possibile (telefono, mailing-list ecc.) sia con i volontari che con i beneficiari dei nostri servizi: diamo informazioni su ciò che stanno facendo i comuni, chiediamo semplicemente come sta andando, se hanno bisogni particolari. Il nostro principio è sempre stato che tutti, in un momento della vita, possono diventare fragili: occorre percorrere tutte le strade per prevenire e contrastare l’isolamento”.
Situazioni come quelle descritte si ripetono un po’ in tutta la rete dei circa 200 empori solidali di tutta Italia o almeno di quelli facenti capo alle diocesi, come conferma Caritas Italiana. A cominciare dalla Lombardia dove i “negozi” continuano a operare anche nelle zone più periferiche, come ad esempio con l’Emporion promosso anche dal Csv di Sondrio. Per finire con gli empori del Sud, come il “Buono a rendere” recentemente aperto su iniziativa del Csv di Caserta nell’ex sede del banco dei pegni di Suessola: dal 24 marzo il direttivo ha organizzato la distribuzione a domicilio per le 20 famiglie beneficiarie, senza chiedere loro alcuna forma di volontariato (come invece prevedrebbe il regolamento).
Qui il rapporto nazionale sugli empori solidali realizzato da Caritas Italiana e Csvnet.